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Kill The Nice Guy: Confusion [2012]

Nuovo lavoro per i Kill The Nice Guy, formazione nota al pubblico fiorentino e non solo da ormai vari anni, vincitori del Rock Contest 2007 e giunti, con “Confusion”, alla terza fatica in studio. Un power trio -Marianna Magni, Irene Bavecchi e Neri Pecchioli- il cui nome ha già molto di programmatico: rock aggressivo, sfrontato, che aspira a stordire l'ascoltatore più indifeso inquadrandosi nell'immaginario “riot grrrls” (non me ne voglia il batterista) del grunge e dell'alternative 90's. E' un disco, questo, che si presenta granitico nell'atteggiamento, negli intenti che la band da sempre porta avanti, ma difficile da valutare; i suoi pregi e i suoi difetti si nascondono, si mascherano vicendevolmente. L'ascolto è inaugurato con l'azzeccatissima MP , e subito si dischiude l'anima migliore del gruppo, quella ossessiva e ricca di tensione che richiama i Sonic Youth cantati da Kim Gordon, Pj Harvey, il rock truce di matrice Touch and Go: linea vocale efficace che segue il fraseggio di chitarra, drumming di quello con le clave, sound ipnotico. Sembra che non si vogliano fare prigionieri iniziando ad ascoltare Selfish, altrettanto suggestiva e litanica nei suoi rallentamenti; tuttavia la canzone si evolve con timidezza, c'è un mantra che vuole imporsi ma si presenta fiacco, non colpisce con la giusta determinazione. Il problema si ripresenta nelle due tracce successive Hole e Not For You, e ne individuiamo la natura. Il rock più abrasivo e dissonante spesso guarda all'incursione melodica come qualcosa di prezioso, un'opportunità da sfruttare con criterio: diventa la cima di un climax, oppure un dettaglio posto con cura fra gli spigoli. In questi primi pezzi la matrice più pop sembra invece smorzare la tensione, l'atmosfera febbrile che è uno dei punti di forza di questo album. Delude ad esempio la chitarra, a tratti troppo limpida; c'è forse bisogno di un vecchio big muff gracchiante, nel caso in cui non sia in dotazione della band. Ma ecco che devo ricredermi, ribaltando la questione: Closed inizia con un inaspettato intreccio à la Super Elastic Bubble Plastic. Non c'entra nulla, ma sembra Cat Power di “He War”. La strofa è ariosa ed essenziale, poi il flusso si intorbida gradualmente ed ecco che esprime la giusta cattiveria: calibrata ma tagliente. Si deduce che qui tutto funzioni molto bene quando è il carattere pop a impostare la struttura, quando è la vena melodica a lasciarsi disturbare, e non viceversa: ne è ulteriore conferma la successiva e quasi speculare Dead Woman Walking, un buon pezzo, grunge onesto ed umorale à la Soundgarden, in cui la rabbia si percepisce e se non arriva in faccia, aspira almeno a colpire fra stomaco e cuore. E' però il momento di fare sul serio, e il disco decolla violentemente (e finalmente) con Bemuse, basso truce e incedere quasi post-rock; la voce è sofferta, ferita, ma riprende vigore nel refrain,; mi vengono in mente i Tool (soprattutto per la linea vocale); il meglio arriva a mio parere con Flesh for Sale, e siamo giustappunto al macello -almeno per chi se lo augurava-. Le chitarre acquistano vigore, non si avverte debolezza, un pezzo strafottente: più Stooges e meno Placebo. Le dinamiche sono quelle di Girls Against Boys, dei già citati Sonic Youth, dei Melvins, e che ritroviamo, più compostamente, nella strumentale Intro, molto narrativa e che si riavvicina al post-rock \post-hardcore. Meno incisiva Run, con cui l'album si chiude. In definitiva, un disco interessante, che coltiva diversi tipi di suggestione senza riuscire, però, a esprimerne nessuno in maniera compiuta, un disco molto ricco nelle declinazioni del genere proposto e che tuttavia non sempre riesce a imporsi come vorrebbe. Vale in ogni caso la pena di ascoltarlo accuratamente proprio per la complessità che propone, complessità che in una manciata di ottimi pezzi viene sfruttata a dovere, rivelandosi effettivamente una marcia in più; parliamo degli episodi in cui “Confusion” sembra ergersi a titolo-manifesto, a livello sia esistenziale che sonoro.
Recensione a cura di:
Antonio De Sortis

Kill The Nice Guy: This Is A Toy For A Child - This Is A Toy For A Man [2008]


Uno dei pochi power (nel vero senso della parola) trio più che decenti della scena underground fiorentina. Questo EP è una piccola gemma per tutti gli appassionati del post-punk e della white noise più aggressiva e per tutti coloro che ancora si ascoltano innamorati i vecchi album dei Sonic Youth e sorridono al post-hardcore indipendente dei Fugazi. Le sei tracce sono una continua cavalcata tra lande di metallo pulito, senza sbafature: ogni cosa è al suo posto, la chitarra viaggia su scratch che perforano le orecchie mentre il basso esegue riff killer come tuoni improvvisi reggendo egregiamente un cantato tutto femminile e più volte effettato, un po' sporco come le nuvole cariche di tempesta. Ed è in quest'atmosfera elettrica che ci si immagina a correre inseguiti da spettri di ferro, mentre ogni singola canzone scorre rapida e leggera nonostante la pesantezza del sound. I vincitori del Rock Contest 2007 sanno il fatto loro. Impongono la loro musica e nessuno può farci nulla, anzi è grato di essere travolto da questa nebbia di suono che non fa andare oltre. Nonostante le sonorità rudi e malvagie di cui si tinge l'EP si riesce a vedere, non troppo in lontananza, una sottile poesia che lega ogni traccia e che trova nella voce di Marianna (dolce all'occorrenza, come quella di una stranamente rilassata Karen O) una sorta di tenerezza 'pop' che non guasta assolutamente, ma che enfatizza maggiormente e dona luce a quella tempesta sonica che infuria fin dai primi secondi della pseudo-hit Lula, in cui una risata beffarda sembra prendersi gioco di tutte quelle note scontate e banali che non trovano posto tra i Kill The Nice Guy. E allora i tre toscani mettono da parte ogni riserbo e superflua timidezza per proporci questo piccolo (capo)lavoro in cui le dita si muovo agili come le zampe di un ragno ambizioso sulle corde del basso e della chitarra, dove la batteria trova la complicità delle pelli nella ricerca di un suono potente e cupo e in cui la voce, citofonata e non, si adagia su ritornelli assassini dei quali è impossibile restare delusi. In realtà le parole a poco servono per descrivere un EP che comunque si commenta da solo, perciò tutti in religioso silenzio per questa demo in cui le note squarciano la mediocrità come affilati rasoi.

Recensione a cura di:
Tommaso Fantoni