I Venkmans, quartetto fiorentino attivo dal 2010 che trovò immediatamente la propria dimensione sonora tra le linee di quelle tendenze pop prettamente d’oltremanica che hanno influito su tanta della musica degli anni duemila, arriva così, all’inizio di questo nuovo 2013, a pubblicare il primo disco ufficiale: manifesto e portabandiera di quella filosofia tutta brit e da pantalone a sigaretta che da qualche anno pare imperversare per le strade fiorentine e, talvolta, anche nazionali (vedi gruppi come the Hacienda, Blue Popsicle o the Vickers). In questo nuovo lavoro si rende omaggio all'insegnamento lasciato dai numi del genere (Albarn, Gallagher), si sposa la causa del riff di synth e del tema ballabile (Thank You For the Drum Machine, Amari e i defunti To Be Rhudes) e si tende l'orecchio alle sonorità più pop e colorate degli anni 0 (Editors, Kasabian). Rispetto all’EP precedente si nota appunto fin da subito la forte presenza di parti elettroniche, sempre in primo piano rispetto alle chitarre. In questo capitolo i sintetizzatori diventano i veri protagonisti della scena, delimitando e strutturando i riff di gran parte delle tracce (No one gets the feeling); e se Critical può vagamente rimandare a qualcosa dei Planet Funk, Free, Juliet the disco e gli altri pezzi già editi dal gruppo o proposti live nell'anno passato vengono riarrangiati e rivestiti di una nuova veste sonora. Perfettamente registrato e suonato Goood Morning Sun! è un disco dichiaratamente pop, dall’inizio alla fine e, quasi di conseguenza, le influenze a cui il gruppo attinge ne fanno un lavoro fortemente derivativo. Probabilmente è questa, se si vuole trovare, l’unica pecca del disco: le melodie e le canzoni sono strutturate e scritte in modo molto simile fra loro, esclusa la ghost track: ballatona strappalacrime al sapore di November Rain che chiude l'opera. In conclusione: un lavoro ben fatto, le cui idee e possibilità sono molte, ben suonato e registrato, ma che rischia di esaurirsi in una mera proposta di ciò che è stato, anche se molto ben eseguita.
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The Venkmans: S / T [2011]
I The Venkmans sono cinque ragazzi di Firenze e provincia che si riuniscono nell'estate del 2010 per dar vita ad un nuovo progetto che prenderà il nome in onore di uno degli acchiappafantasmi più celebri: Peter Venkman. Il gruppo si presenta cosi', con la sua prima release omonima sfornata presso lo Studio Savonarola 69 nel gennaio del 2011; un debutto già adulto maturato dalle diverse esperienze sonore dei singoli musicisti provenienti da vari background musicali (The Hacienda, Cage of Candy Floss e In The Flesh). Superato il nodo di preconcetti nel quale ci potremmo imbattere sulla critica di questo lavoro a causa delle influenze musicali (prettamente d'oltremanica) a cui si ispira, scopriamo in realtà quanto la band abbia fatte proprie questo stesso crogiolo di melodie. Le tre tracce che compongono l' EP, perfettamente realizzate e arrangiate, fanno trasparire quanto il gruppo sia devoto alla scena indie inglese degli ultimi dieci anni, che ancora miete vittime e appassionati: dalla ritmica di batteria tanto cara ai Franz Ferdinand, tesa e incalzante, ai riff trascinanti di chitarre in pieno stile Editors fino alle melodie kitch di sinth che hanno reso tanto celebri i Killers. Le tinte sonore, così come i colori scelti per il packaging dell'opera, rendono il lavoro della band estremamente solare e dinamico. Il disco scorre via rapido lasciandoti solamente la voglia di riascoltarlo dall'inizio, grazie a pezzi estremamente trascinanti che coinvolgono l'ascoltatore fino in fondo, senza far passare mai in secondo piano gli arrangiamenti mai scontati e la voce sempre protagonista. Mentre Rebirth, il primo brano, sembra uscito dalla chitarra di Chris Urbanowicz, (Editors) e Free il cui cupo intro riecheggia le atmosfere dei White Lies, trovo che sia proprio l'ultima traccia, Juliet the disco la vera bomba del lavoro dei Venkmans: un vero potenziale singolo dettato da una travolgente melodia di synth che molti invidierebbero. Trovo che il disco sia un ottimo inizio per questa band che consiglio caldamente di vedere live, per rendersi conto dell'energia e dell'accuratezza melodica che i vari componenti manifestano.
Recensione a cura di:
Giovanni Sarti
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