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Unmade Bed: Mornaite Muntide [2011]

Dopo l'ottimo esordio con Loom nel 2009 gli Unmade Bed di Lorenzo Gambacorta tornano a colorare le note con quegli sperimentalismi avant-rock per i quali avevamo imparato a conoscerli e apprezzarli. Lo fanno con Mornaite Muntide, una favola in cinque capitoli, il cui passo iniziale a mio parere non è una delle tracce che la compongono, ma la bellissima copertina: un'eco dalle venature Romantiche, tra gli incubi di Füssli e la simbologia notturna di Friedrich. Questi i toni che fanno da ouverture a un disco sospeso tra realtà e finzione, un doppio sogno che comincia tra dissonanze di carrillon e continua su scenari di pura psichedelia, come quella che non si sentiva da parecchio tempo. Proseguendo la lezione psych-pop di altri gruppi a loro affini (Jennifer Gentle, Father Murphy) gli Unmade Bed forgiano un lavoro in cui l'attenzione è tutta rivolta alla scelta dei suoni e all'arte con cui vengono messi insieme in un'orgia di ritmiche sincopate e delay eterei. Un tipo di musica difficile e non per tutti, un tipo di musica che al giorno d'oggi rischia di perdersi in un mero gioco di citazioni e autocitazioni, tra rivisitazioni di vecchi dischi post-rock anni '90 à la Tortoise e omaggi sterili alla scena di Canterbury o ai Soft Machine più nel dettaglio. Un tranello in cui il gruppo nostrano non cade mai, non lo aveva fatto nel disco d'esordio e sicuramente non rischia di caderci in questo momento in cui il sound della band pare aver trovato un proprio spazio nel caleidoscopico mondo della psichedelia: osando ma mai eccedendo, passando da lampi di shoegaze a marce funebri, usando risate spettrali come metro di misura per quel tipo di musica onirica di cui ormai gli Unmade Bed si pongono come campioni, o almeno come una delle più originali e meno scontate band che Firenze abbia mai avuto il piacere d'ascoltare. Un disco lucido dai vestiti deliranti, a metà strada tra William Blake e Mercury Rev, assolutamente da ascoltare.
Recensione a cura di:
Tommi 'Jena' Fantoni

Unmade Bed: Loom [2009]

Finalmente si alza dal torpore della stanza buia la musica italiana. Lo fa con quest'album che ha le parvenze di una fiaba raccontata prima di andare a dormire, una ninna nanna gentile, la quale resta impressa nella mente anche dopo il risveglio. L'album degli Unmade Bed è un tripudio di sogni musicali che si dissolvono appena l'ascoltatore apre gli occhi: fugaci e leggeri come le tracce che lo compongono, Loom è un LP surrealista, "lunatico" perchè sembra esser nato sulla Luna, dai colori onirici e dalle melodie psichedeliche che la chitarra spesso ricerca con accurate distorsioni e morbidi delay. La voce che ricorda il languore allegro dei Jennifer Gentle (si sente l'eco di Circles of Sorrow) orchestra magicamente un disco di dieci canzoni per palati fini, per coloro che apprezzano i Mercury Rev e il cantautorato barrettiano, tra l'angoscia di un incubo musicale che le note elettriche ricamano con la batteria (Comet Little Rider) e quelle atmosfere sognanti e cinematografiche eredi dei Giardini di Mirò più attuali. Le tracce arrivano alle orecchie quasi come un sussurro, il quale nonostante tutto si fa strada in un crescendo di elettronica (sempre presente, ma mai invadente) e rincorsa sui tasti del pianoforte. Gli Unmade Bed non hanno paura di sperimentare e, consci delle loro potenzilità, osano e riescono ad essere piacevoli anche nei punti all'apparenza più scomodi, lì dove la ripetizione sonnambulisitica delle note rischia di stancare per il suo aspetto prolisso e ossessivo (Madmoony). La band fiorentina calibra bene i tempi e la dilatazione dei pezzi proprio per aggirare questo ostacolo e riesce a creare nel complesso, un LP/ racconto a più toni e sfumature, tra cui fa capolino anche la voce femminile, da ascoltare mentre si sogna o mentre si cerca di fuggire da un incubo.

Recensione a cura di:
Tommi 'Jena' Fantoni