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Umanzuki : Sonic Birds [2012]

Mattia Betti (batteria), Alessandro Iacopini (basso) e Tommaso Di Tommaso (chitarra elettrica), ovvero Umanzuki, sono un trio fiorentino dalla giovane età e con un EP alle spalle ("Pipes & Sugar"), che ama deviare e frammentare.  Se già il lavoro precedente evidenziava le loro notevoli capacità tecniche e la predilezione per territori noise-jazz-core con un approccio sensibilmente muscolare, quello attuale, recentemente uscito in freedownload (qui) per fromSCRATCH Records, fornisce una diversa declinazione del rumorismo, smussa i picchi, abbassa (seppur di poco) i volumi e cambia bersaglio. L’intento è quello di avvolgere lo spettatore invece di puntarlo dritto allo sterno, ma non significa che i tre non colgano nel segno. Guardano più oltreoceano, dato che l’opening di Rainbow, in cassa dritta, ma sapientemente deviata dagli interventi di chitarra, ammicca ad una Atlas che sembra suonata dagli Animal Collective; camuffano sapientemente gli strumenti, nell’imitare metronomi impazziti (Light Crystal Bounce) e nel disegnare droni di basso e linee più proprie di un sequencer che di una chitarra (la conclusiva Amazing Sun, quasi dei Liars sull’ottovolante, essendo la voce in palese debito con il trio newyorchese e Golden Beard Bullseye, riuscitissima nell’intersecare glitch, bordoni e una batteria dimezzata). Captain Orso è free form percussionistico su un inciso da nenia infantile di chitarra fino a mettere la sesta ed inserire il turbo, mentre la title track fa da appoggio al binomio finale. Meno cupi e nervosi, gli Umanzuki trovano comunque una forma organica per dare sfogo al loro anarchismo sonoro. All’attivo, un sapiente maneggio dell’effettistica e dei timbri prescelti; al passivo, una intermittente smania, in certi frangenti, di “suonare troppo” e di rifarsi a derive di più immediata riconoscibilità. In definitiva, mezzi a disposizione tanti e possibilità di evoluzione ancor più luminose.
Recensione a cura di:
Francesco D'Elia

Umanzuki: Happy Music For Dinner Time [2011]

“...i giovani capitolarono e si schiantarono al suolo dando vita ad un grovigliar e torpinar di spuma di mare in cui l'essenza spirituale degli UMANZUKI giaceva solenne”. Questa la chiusa alla breve biografia degli Umanzuki, giovanissimo gruppo fiorentino. Una semplice asserzione che descrive perfettamente la proposta musicale del trio. Happy Music For Dinner Time travolge letteralmente l'ascoltatore col suo “grovigliar e torpinar di spuma di mare” (mai neologismi furono più indicati) che pervade le 15 tracce del primo full-lenght dei nostri. Votati esplicitamente al free jazz più stonato ed asimmetrico (Ornette Coleman e soci hanno fatto scuola), gli Umanzuki stupiscono per la loro coraggiosa proposta di nicchia che la dice lunga sui loro ascolti abituali. Il flusso di coscienza del trio lambisce territori che vanno da squisite sperimentazioni di jazz d'avanguardia del Davis più sperimentale (periodo Bitches Brew, per intenderci) impreziosite dalle divagazioni atonali e ritmiche sincopate della più recente scuola contemporanea, all'underground noise-core dei Lighting Bolt o dei nostrani Zu. La buona tecnica dei musicisti (Tommaso Di Tommaso alla chitarra elettrica, Alessandro Iacopini al basso, Mattia Betti alle pelli) è funzionale all'approccio al genere anche se talvolta si ha l'impressione, durante l'ascolto del disco, di incappare in un déjà vu musicale che rischia di annoiare e rendere superflui i nobili intenti dei musicisti. Probabilmente una tracklist più corta con pezzi più coincisi e “differenziati”, avrebbe reso il disco un prodotto sicuramente di maggior impatto e spessore. Ma con ciò non vogliamo sminuire l'indiscutibile valore concettuale del progetto che, come coerenza di fondo e spesso anche come qualità, va ben oltre molti debutti dell'odierno indie rock nostrano. Prima prova superata con qualche perplessità, certo, ma che lascia ben sperare di vedere in un futuro non troppo lontano gli Umanzuki annoverati tra le fila di quella prestigiosa cerchia musicale che da anni offre al panorama italiano un afflato più intellettuale e riflessivo che non manca però di quell'immediatezza e coinvolgimento che rende grande la musica.

Recensione a cura di:
David Matteini