Miranda : Asylum: Brain Check After Dinner [2013]

A tre anni dal precedente “Growing Heads Above the Roof” (recensito qui) arriva il nuovo lavoro dei Miranda, trio appulo-calabrese trapiantato da ormai quindici anni a Firenze e avanguardia dell’artiglieria fromSCRATCH records. Il disco si intitola “Asylum: Brain Check After Dinner”, un saliscendi continuo –praticamente intestinale - che attraversa tutta la febbre industriale e sintetica del proprio passato (i dischi precedenti, le sostanze che essi trasudano) e prova ad amministrarne i postumi. L’avvio dell’uno-due Suicide Watch e Being Ed Bunker richiama il sound che più ha reso nota la band nel circuito alternativo, una miscela di No Wave e Post Punk americano rumoristica e frenetica in cui l’immersione è totale, non c’è scampo (non c’è scelta) per chi ne adotta la velocità. Il disco vero e proprio tuttavia comincia, dopo l’assaggino iniziale, con le due tracce successive che spalancano nuovi territori, nuovi ritmi; si esce dal turbine didascalico con Wanna Be a Sluggy, che non sfonda più tutti gli ostacoli ma inizia a saltarli al trotto, scimmie e rane e asini suonano i campanacci del bestiario Oneida; ulteriore relax in Odysseia, esplorazione di ogni apparato del dentro e del fuori che si prolunga in una coda di riflessione cosmica. Da qui primo giro di boa nell’intestino percettivo che guida il disco: Mohamaed Bouazizi è una lunga e disturbata meditazione, una conversazione mentale il cui fondo minimalista è impregnato di umori, di interferenze. Una delle tracce più riuscite dell’album, suggestiva e agonizzante, da cui ancora una volta fuoriescono due tracce in rettilineo, Nothing Better Than a Morning Fuck e Arabs on the Run, Psycomelette. Il sangue ribolle di nuovo, evidentemente con Bouazizi non è andata come si sperava, sono due pezzi (specialmente il primo) irridenti, agguerriti, ma con l’amaro in bocca. Dalla consolle scende Panda Bear e salgono prima i Fugs in salsa kraut: l’ antagonismo come ghigno. Poco dopo il trip si incupisce, iniziano le manie di controllo, la paura e la vergogna di essere vittima. In consolle sale ora Peter Murphy o chi per lui; i sudori sono più wave adesso. L’ascolto di questo disco tritatutto è presto diventato una riflessione sui rapporti fra elettronica e acustica, fra digitale e analogico, in generale sulla manipolazione come processo irreversibile e inquietante. I riferimenti electro a Liars, Hot Chip, lasciano spesso spazio a quelli elettro(acustici) e al sound di Can e Tangerine Dream; dialoghi intermittenti con la macchina, riflessioni sulla strumentalità ambigua del suono sintetico, delle droghe (e di tutte le pietanze) sintetiche, del controllo sintetico sull’essere umano.  H-Arcore è l’ultimo snodo, l’ultimo tornante preso in testacoda dell’album, sfuriata simil-tekno in cui la citazione post populista si fonde a quella post hardcore (cito creativamente le urla :“Krishna always hurts”, in stile Husker Du) in un brodo di religiosità (e) tecnica. Sembra si abbia a che fare con le macchine da scrivere del Pasto Nudo di Burroughs\Cronenberg, utensili pian piano percepiti come scarafaggi o mostri schifosi; presto noi inizieremo a “gestircela” e loro a parlarci come dei semplici coinquilini con la digestione un po’ lenta. Il finale è composto dal trittico lisergico Holy Ravioli in a Drug Free ZoneBring Drug and Food e Tecnocratic Chinese Flu, dieci minuti di resoconto psichedelico in cui il sillogismo del saliscendi digestivo si racchiude e si ripropone in bollori, fregole,distensioni. Si avvicendano Beck e i Parts & Labor e i Talking Heads e un passato cyberpunk e infine la chiusura con il cosmo artificiale, residuo, di Teddy Riley , è l’ultimo pezzo che da solo riflette tutto su di sé, i postumi di tutto, la lucida rimastanza, unico frangente in cui emergono i detestabili numi postmoderni finora tenuti nascosti nel corto circuito dell’ hangover, si sente il Bowie berlinese filtrato da tekno e affini . Un misto di sensazioni, alla fine ciò che emerge è la macchina tecnocratica che permane e di cui si può solo osservare il lavoro da una prospettiva esterna con il cervello a polpette, quando per un attimo la rabbia contro di essa o l’ironia di esserne strumento si mutano in una percezione vigile e svuotata,è il nuovo disincanto dinnanzi ai nuovi miti.
“ those waves are red and we belong to tecnocratic chinese flu “: le frequenze rosse nel solco dei Miranda, un solco dove si trova asilo solo nel ricevere e digerire e rimanerci sotto.
Recensione a cura di:
Antonio De Sortis

Nessun commento:

Posta un commento