Dopo l'ottimo esordio con Loom nel 2009 gli Unmade Bed di Lorenzo Gambacorta tornano a colorare le note con quegli sperimentalismi avant-rock per i quali avevamo imparato a conoscerli e apprezzarli. Lo fanno con Mornaite Muntide, una favola in cinque capitoli, il cui passo iniziale a mio parere non è una delle tracce che la compongono, ma la bellissima copertina: un'eco dalle venature Romantiche, tra gli incubi di Füssli e la simbologia notturna di Friedrich. Questi i toni che fanno da ouverture a un disco sospeso tra realtà e finzione, un doppio sogno che comincia tra dissonanze di carrillon e continua su scenari di pura psichedelia, come quella che non si sentiva da parecchio tempo. Proseguendo la lezione psych-pop di altri gruppi a loro affini (Jennifer Gentle, Father Murphy) gli Unmade Bed forgiano un lavoro in cui l'attenzione è tutta rivolta alla scelta dei suoni e all'arte con cui vengono messi insieme in un'orgia di ritmiche sincopate e delay eterei. Un tipo di musica difficile e non per tutti, un tipo di musica che al giorno d'oggi rischia di perdersi in un mero gioco di citazioni e autocitazioni, tra rivisitazioni di vecchi dischi post-rock anni '90 à la Tortoise e omaggi sterili alla scena di Canterbury o ai Soft Machine più nel dettaglio. Un tranello in cui il gruppo nostrano non cade mai, non lo aveva fatto nel disco d'esordio e sicuramente non rischia di caderci in questo momento in cui il sound della band pare aver trovato un proprio spazio nel caleidoscopico mondo della psichedelia: osando ma mai eccedendo, passando da lampi di shoegaze a marce funebri, usando risate spettrali come metro di misura per quel tipo di musica onirica di cui ormai gli Unmade Bed si pongono come campioni, o almeno come una delle più originali e meno scontate band che Firenze abbia mai avuto il piacere d'ascoltare. Un disco lucido dai vestiti deliranti, a metà strada tra William Blake e Mercury Rev, assolutamente da ascoltare.
Recensione a cura di:
Tommi 'Jena' Fantoni
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