Wassilij Kropotkin: Il Tempo dei Lupi [2009]


Il secondo album di Wassilij Kropotkin (Francesco D'Elia) è un perfetto lavoro di armonie sognanti e cupe come una strada avvolta dalle tenebre. Questo eclettico artista fiorentino, oltre a condividere la sua arte con altri gruppi della scena underground locale (Piet Mondrian, Bad Apple Sons, Ka Mate Ka Ora e Hazey Tapes tra i tanti), forgia un lavoro dominato da note pregne di reminescenze oniriche e da un sound puro e pulito, forte di un cantato etereo e impalpabile, come un sussurro che accarezza le orecchie (forte della lezione dei Cocteau Twins). Il suo è un buio che non è mai totalmente buio, e che lascia intravedere una luce di speranza nel vasto universo della sperimentazione sonora di cui si ciba senza commettere errori e senza mai pretendere più di quello che le sue forze gli permettono. Wassilij svetta con questo album tra tutte quelle band prolisse e sterili e lo fa grazie a capacità e inventiva, grazie a un eccellente lavoro di arrangiamenti e armonie e a una trasparenza musicale che permette di scorgere la poesia oltre le note. Con un'alternanza che va dal progressive al post punk, viaggia con sferzate di violino in una terra dalle molteplici sfaccettature, non permettendo la catalogazione in nessun genere o 'etichetta' discutibile; egli ne ingloba più di una mettendo i testi al servizio di un sound evocativo e talvolta psichedelico, che si sarebbe visto bene tra le poesie di Rimbaud e Verlaine. Questo è tuttavia un disco difficile, non per tutti, o almeno non per coloro che preferiscono restare tra i confini di un genere prescelto e non sono aperti a un tipo di sound più sperimentale e, nel suddetto caso, raffinato. L'eleganza contorta di questo LP, unito a influssi shoegaze (Certainly) e psichedelici sembra gettare le basi per una new wave stilistica oscura, dalle venature armoniche e sognanti, di cui è impossibile stancarsi. Per concludere, ascoltando questo album, sembra che la musica (ne parlo a livello locale, ovviamente) stia prendendo la direzione giusta, abbandonandosi a nuove avanguardie e spogliandosi una buona volta di quelle sonorità stantie fatte di synth e skinny jeans che ormai non hanno quasi più nulla da dire. Questo è un augurio, che con artisti del calibro di Wassilij Kropotkin e pochi altri può essere reso possibile e finalmente realizzato, è un sogno fatto di album e di chiaroscuri senza i quali non è possibile uscire dall'eterna notte della musica fiorentina.

Recensione a cura di:
Tommi 'Jena' Fantoni


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