Ka Mate Ka Ora: Thick As The Summer Stars [2009]


Molti pensano che suonare post-rock o slow-core sia facile, e perchè non dovrebbe esserlo? Sono tutti bravi a piazzare un paio di note effettate e ripeterle all'infinito fino a raggiungere il risultato sperato, magari ci si mette qualche delay qui e là, si dilatano i tempi e si distorce un po' la voce ove vi sia il cantato. Ma non è così. In questo (sotto)genere il rischio di risultare banali e noiosi è altissimo: lo diventano gruppi affermati di cinque o sei elementi, e perchè non dovrebbe esserlo un gruppo toscano di soli tre? Ascoltate questo primo album (prodotto dallo statunitense Kramer) e capirete. Il mio consiglio è di chiudere gli occhi e prepararsi per un viaggio mentale e musicale dal quale non rimarrete delusi, ancora meglio se non siete pronti a questo tipo di sound o non ne avete mai sentito parlare. i Ka Mate Ka Ora vi prenderanno per mano e vi condurranno, è proprio il caso di dirlo, in un 'trip' sonoro in cui le note dipingono un paesaggio mai visto prima: può essere rilassante come un mare calmo e limpido le cui uniche e sparute onde sono quelle che si infrangono contro gli scogli delle orecchie che si apprestano ad un primo ascolto, quello che ne viene fuori sono tracce dal suono di chitarra forte ed espressivo, ma anche rilassante e che non lasciano mai l'amaro in bocca (esempio calzante è la magistrale Pony's Broken Leg). Il trio toscano genera un sound introspettivo e malinconico, a volte cupo, ma mai noioso; è un sound patetico nella più vera accezione del termine (dal greco 'patos': emozione) e mai scontato. I pezzi strumentali sono dei piccoli capolavori, quadri dipinti con la saggezza degli accordi e quel tipo di poesia che solo la musica sa donare. Ma l'apice della perfezione viene raggiunto, stranamente, nei pezzi 'anche' vocali: il cantato è puro, immacolato, mai invasivo (come spesso rischia di essere nel più banale degli shoegaze) e si intreccia perfettamente al background sonoro che lo accompagna senza presunzione. Questo tipo di voce richiama emozioni lontane e ricorda il timbro etereo di Neil Halstead che come una leggera brezza sussurra all'orecchio note gentili anche, e soprattutto, nei pezzi più aggressivi e di maggior impatto sonoro. Ora il viaggio è finito, così come le otto tracce dell'album, quello che resta sono i sapori, i suoni, i profumi e la poesia di una terra in cui non siete mai stati e che neanche sapevate esistesse. L'unica cosa da fare è rimettersi le cuffie, prendere un bel respiro e partire di nuovo.
Recensione a cura di:
Tommaso Fantoni

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