le Furie: Andrà Tutto Bene [2012]


Recensire un disco intitolato “Andrà Tutto Bene” è in qualche modo un'operazione sospettosa che personalmente mi suscita alcune domande in più del solito ; inoltre la band in questione nasce dalle ceneri di un progetto, i TooMuchBlond, che in passato si inquadrava in un modello piuttosto preciso di fare musica e ciò potrebbe fungere da ulteriore pregiudiziale. Tutto questo per dire che un disco che apparentemente “piglia bene” in maniera programmatica può muovere all'entusiasmo superficiale o, d'altro canto, allo scetticismo (atteggiamenti che ritengo sia bene evitare se si giudica qualcosa). Dunque da subito ho scelto di adottare un approccio distaccato, quasi “semiologico”, volevo andare coi piedi di piombo e capire se i tipi in questione volessero solo fare i furbi, -per smascherare quindi questa loro furbizia- o se invece avessero davvero talento, e solo a quel punto “farmela pigliare davvero bene”. I miei dubbi si sono risolti in buona parte già dal primo ascolto, nonostante sia tornato sulle undici canzoni che compongono il disco più e più volte. Le Furie nascono nel 2009 (mi pare di aver capito) e si avvalgono sin da subito della collaborazione di Taketo Gohara (produttore tra gli altri di Capossela ed Edda) con il quale registrano presso le Officine Meccaniche quello che diventerà “Andrà Tutto Bene”, uscito il 13 Aprile scorso per la Ishtar. Non è un disco eccezionale, ma neppure pretende di esserlo, e in questo atteggiamento risiedono in parte la sua forza e bellezza. Il loro è un pop-rock fresco, accessibile ma allo stesso tempo prezioso, a suo modo colto. C'è una scrittura genuina, giovanile che si amalgama bene con una più ironica e matura. Ma, soprattutto, mi sento di dire che dall'impianto generale dell'album traspaia una buona dose di onestà. Le Furie bazzicano i circuiti musicali da anni ormai (seppure sotto altre vesti in passato), sono cresciuti e migliorati e hanno capito che cosa sanno fare meglio: un disco come questo. Si sente moltissimo un'attitudine arrabbiata, emotiva, che si esprime in riferimenti all'emocore italiano (FBYC), al post rock, all'indie e al pop corale (Arcade Fire, National, Coldplay) e quindi ad armonie aperte, in cui le melodie sono ariose, orecchiabili; e tuttavia sono frequentissime le incursioni di un atteggiamento diverso, più adulto, che attinge a piene mani dalla tradizione italiana. A tratti le melodie si ritraggono, si fanno più costipate, lo sfogo emozionale si stempera in qualcosa di più dimesso e scanzonato. Esattamente in questi snodi Le Furie danno il meglio di sé e dimostrano che “Andrà tutto bene” non è un semplice inno in stile "sfasciamo-il-mondo", ma qualcosa di più disilluso, che ci si ripete come puro monito “ideale” (parola frequente nei testi) ma a cui non si crede più di tanto. Nel momento in cui al sound rabbioso si affianca quello più sardonico, più raffinato del cantautorato italiano (e io penso ai padri della chansonne, e a Modugno, Battisti, Concato) si evince un certo snobismo del fallimento, un compiacimento dei propri limiti. Strafottenza e sentimento della perdita, niente sorrisi colorati, piuttosto musi da tempo da perdere. Quindi, “Andrà Tutto Bene” forse non sarà un disco eccezionale, ma è un disco pop ricchissimo di stratificazioni ed influenze molto diverse, capace di esprimere una vena poetica onesta, che si compiace ma che avverte intensamente le conseguenze di ciò di cui scrive. In Pausa sentiamo dire “penso che starò seduto un altro po' ” e la vena è quella sorniona di chi è consapevole della limitatezza di una condizione, ma utilizza i propri strumenti per mitigare (e mitizzare) tale limitatezza, mostrarla ma anche farla fruttare al meglio. Sinceramente mi sento di dire che questo disco fuoriesce del tutto illeso da quella che è invece l'attuale deriva della “musica italiana cantata in italiano”, che della furbizia spicciola e modaiola ha fatto statuto e a cui purtroppo innumerevoli critici musicali conferiscono autorità (lo scettro agli 883 penso che suoni un po' strano anche a radio maria). Scansati i dubbi iniziali, molti sono i pezzi degni di nota all'interno del disco: il singolo Love Affair, anthem emocore che cita i Distanti, e Banale sfuriata indie erede dei TooMuchBlond, racchiudono l'anima più giovanilista del disco; il primo episodio realmente prezioso è Non c'è Niente : una ballata à la Afterhours arrangiata magistralmente in cui il cantante Edoardo Florio Di Grazia inizia a sghignazzare con insolenza: “non ho stoffa da vendervi” o la citazione distorta “e adesso\quasi quasi prendo il treno e\lo faccio saltare in aria” sono versi preludio di tutta una fenomenologia del disincanto, dell'incapacità di prendere decisioni, decidere in particolare chi si vuole essere a 21 anni qui e ora, ma non solo (non c'è traccia di critica socio\politica, è tutto introiettato in un immobilismo radicale). E infatti proprio 21 anni è un'altra traccia simbolo, svogliata nel cercare “uno stile più incisivo” mentre ci si culla in un'altra giornata inutile; qui spuntano i Baustelle, quindi un'operazione autorale che attinge non tanto al folk quanto alla chansonne (soprattutto per le melodie) o anche al rhythm and blues inglese. Analoga è Solypso, fra le migliori dell'album, e che da il la ai due episodi invece più compiutamente “adulti” del disco, a livello sia lirico che strettamente musicale. Mentre le prime tracce raccontano ancora di gioventù stufa e un po' viziata, Mimì Bluette (“la vita è perfetta già così com'è” è il verso che traghetta il giovane nichilista nel mondo adulto-anziano) e Il tuo Dio si rifanno a canoni stilistici di grande finezza che guardano al prog, al cantautorato barocco, e qui penso ancora a Battisti, alla PFM, a Morgan solista. Questo reticolo di influenze, di disposizioni creative ed esistenziali si sviluppa ulteriormente nel finale del disco, con le notevoli Niche e Venerdì, ancora una volta sound italiano vecchio e nuovo (si sente l'operazione “Wow” dei Verdena, o il miglior Moltheni), indie e sinfonie, pre e post, l' anziano e il giovane. Un immaginario (i “vent'anni”, in qualche modo) è ormai compromesso, ed è triste, pretenzioso volerlo rivitalizzare in modo posticcio, a sole botte di macbook e negroni magari. Pare ci siano dei limiti ineluttabili, e starci dentro ad aspettare è pur sempre una soluzione; una delle soluzioni, forse la più comune. Le Furie hanno fatto un disco coerente, un disco da ventenni, suonato molto bene, di grande espressività, che ci dice qualcosa riguardo il tempo che passa e quello che si porta via giorno per giorno. Con "Andrà Tutto Bene" si sono presi la briga di fermarsi, ed ammirare qualche istante la deriva intorno. Il loro però è lo step di lucidità successivo, quando l'album si chiude sussurrando “oh no \ tutti sanno tutto\ venerdì mi distruggo” si capisce che andrà, sì, tutto bene, ma poteva anche andare meglio, e questo è bene dirselo ogni tanto.
Recensione a cura di:
Antonio De Sortis


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