Quando Robert Johnson scriveva sulle rive del Mississipi Sweet Home Chicago negli anni 20, non poteva neanche lontanamente immaginare che avrebbe avuto degli eredi italiani, pistoiesi per la precisione; così come Leadbelly non sospettava di essere preso a esempio da un gruppo di ragazzi con la passione per i vecchi bluesmen. Questi sono i VMC, tre ragazzi toscani con la passione per terre e tempi lontani, durante i quali la musica fluiva direttamente dal cuore nelle corde della chitarra e in cui non si badava troppo a secondi fini economici o di fama. Bastava suonare. I VMC guardano oltre la sempre presente e sempre emulata Inghilterra per andare alla ricerca di un sound molto meno usuale o commerciale che dir si voglia. Sicuramente un tipo di sound non facile e che difficilmente potrà restare impresso nelle menti dei giovani indies. Grazie al cielo. Con un occhio agli Stati Uniti della grande crisi, ai paesaggi assolati e agli uomini stanchi imparano dalla tradizione del Delta Blues, mentre con l'altro sbirciano ai giorni nostri, agli influssi folk (di cui non ci si stanca mai), a Howe Gelb e al cantautorato a due voci. Con questa attenzione particolare condotta dalla passione per la musica della tradizione popolare i tre di Pistoia fondano tutti gli elementi appresi in canzoni solide nella loro semplicità, in cui l'armonica e la chitarra si intrecciano a un cantato dalle molteplici sfaccettature: cupo e triste a volte, fiero e passionale in altre occasioni. In tempi di crisi come quelli che vive l'Italia di questi tempi, I VMC guardano alla crisi degli anni 30 con rispetto e curiosità e da essa traggono gli elementi necessari per andare avanti durante i periodi di difficoltà, sia umani che musicali, in cui ognuno sembra far da sé e per sé: suonare un blues che è anche folk, rigorosamente acustico, in cui il suono schietto della chitarra racconta storie di una terra lontana nel tempo e nello spazio in cui gli uomini di ritorno dal lavoro si sedevano a suonare la musica più bella: quella semplice e disinteressata, quella passionale, quella che si suona da sola e che i VMC hanno imparato a suonare. Per nostra fortuna.
Recensione a cura di:
Tommi 'Jena' Fantoni
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