Finalmente un disco rock nudo e crudo, finalmente un disco schietto e senza fronzoli di alcun genere, finalmente un disco che getta un po' di luce sull'oscuro panorama musicale fiorentino e che ha il sapore di rivalsa per un genere che fu sottovalutato (e bistrattato) clamorosamente negli anni 90 (si pensi all'hardcore melodico) e che oggi può, grazie a Frames, alzare la testa: il rock dai ritornalli che restano stampati nella mente, il che non è sinonimo di canzoni commerciali o fruibili solo da un target di pubblico prevalentemente 'ignorante', ma di una struttura musicale perfetta e che trapana le orecchie, di un sapiente lavoro di armonie e arrangiamenti puliti e cristallini che non possono non essere presi in considerazione. Gli Zenerswoon (power trio fiorentino) pubblicano un LP che richiama a un maestoso universo sonico, in cui la chitarra ha un sound grezzo, a volte sporco, potente ma elegante al tempo stesso e in cui le distorsioni si consumano velocemente come l'aria durante una corsa affannosa. Questo è Frames: un sapiente mix di cavalcate ossessive senza guardare indietro, con il sangue che scorre su note adrenaliniche fino al cuore (Not What It Seems), ma che sa anche concedersi momenti di riposo e riflessione interiore (Her Flattery) in cui i tre fiorentini sembrano prendersi una pausa per pensare alla ormai raggiunta maturità musicale e a tutti gli ostacoli e i successi che li hanno condotti fino a questo album: un lavoro sincero, frutto di irruenza e perfezione compositiva, sorretto da distorsioni e delay di piombo caldo. 42 minuti di emozioni, di canzoni che si susseguono a ritmo serrato senza che la successiva faccia mai rimpiangere quella appena ascoltata e che contribuiscono a fare di Frames una sorta di outsider: un disco fuori da ogni moda momentanea e fuori dal tempo, ma che comunque resterà/resisterà in quell'universo sonico prima citato da cui gli Zenerswoon l'hanno strappato.
Recensione a cura di:
Tommaso Fantoni
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