Bad Apple Sons: s/t [2010]


Non si può iniziare a parlare dell'album dei Bad Apple Sons (vincitori del Rock Contest 2008) senza prima parlare di quel fascino segreto e nascosto che la musica offre, ma che pochi sanno catturare. Il fascino oscuro e tetro che permea le note, colora di morbosità e poesia i testi e che cerca di innalzare i musicisti a un livello più alto di ricerca armonica e spaventare gli ascoltatori più schivi e inesperti. Perchè questa non è musica per le masse. Non è musica che si può ascoltare e dimenticare come il tormentone di turno. Questa è musica che irretisce i sensi e condanna chi ne è intrappolato a proibiti piaceri creati dal continuo ed edonistico ascolto delle tracce che compongono il disco. I BAS rientrano in quella schiera di gruppi il cui LP di esordio non può essere ignorato nè dimenticato, ma non ci deve sorprendere più di tanto se invece lo vedremmo prendere la polvere sugli scaffali alti per qualche anno (la storia della musica insegna) proprio come successe a quella famosa banana del 1967: le perle rare non sempre hanno il successo che meritano e probabilmente l'Italia non è ancora pronta a subire quella catarsi musicale che dischi di simil fatta propongono prima di essere condannati a plausi elitari. Lanciandosi in sperimentazioni noise e psichedeliche, ogni traccia del disco si permea di atmosfere lugubri e sonore che richiamano al più sudicio underground berlinese o alla luce soffusa di David Lynch. Ogni singola canzone di questo disco è una porta, un preludio che si apre su mondi elettrici e delay spigolosi, è una finestra che lascia intravedere panorami kraut in cui il contrasto luce/ombra è assoluto come in un'ombra cinese dai contorni progressive. 40 minuti perfetti in cui la voce dell'istrionico cantante carica ogni nota di una forte violenza erotica, pari a quella che Stroheim inseriva nelle sue inquadrature. Egli orchestra magicamente con una 'piccola goccia di veleno' (per citare Tom Waits) strumenti dalle geometrie contorte, ma suadenti. Con una voce malinconica, evocativa e inquietante come quella che sentiresti solo nei sogni più angoscianti (Backroom Facials) e con dei testi in cui l'agonia del vivere quotidiano formata da vizi, smanie crudeli e peccati nascosti ('[...]my dick gets hard as I tear the skin of her wrist[...]' The Cutter) si regge un'architettura in cui la bass line fende l'aria prepotente, duettando con l'ossessività selvaggia, animalesca e per questo bellissima della batteria. La chitarra si insinua armoniosamente con riff incandescenti e delay noise, facendo da spalla a sferzate di violino e gentili note di pianoforte. Si va da climax ascendenti e martellanti (Namby Pamby) a geniali intuizioni tribali in stop motion (Y.O. Screaming Monkey) nel giro di un respiro. In questo cd la musica rivela quel suo fascino sporco, metallico, feroce e sessuale che solo poche persone sono state capaci di catturare di cui parlavo prima. I BAS sono tra quelle persone, lo rivela questo cd, forgiato da un gruppo che ha acquisito una propria identità musicale, che non ha paura di osare in territori già esplorati, come il suonare usando pali di ferro e bidoni di latta (si prendano ad esempio gli Einstürzende Neubauten o la scena industrial in generale). Ogni loro tentativo trova la propria celebrazione in questo disco. Un'orgia di note acide, un bagno nelle lacrime piante dagli occhi freddi delle balene (Whales Are Watching), uno stupendo coito sonoro. Questa è la musica dei Bad Apple Sons e questo album ne è il manifesto. Uno dei più completi e migliori lavori usciti dal calderone underground fiorentino. Ma come si suol dire, anche questa (purtroppo o per fortuna) è un'altra storia.

Recensione a cura di:
Tommaso Fantoni




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