Gli Atomik Clocks sono un trio fiorentino (Francesco Li Puma: basso e sax soprano, Marco Ruggiero: batteria; Filippo Pratesi: sax contralto), con qualche anno di attività e un paio di autoproduzioni alle spalle, (l'album Tundra Funk e l'EP The Country Hell), che si inserisce a piena ragione nella corrente di “neo punk funk”, per intenderci, che tanto caratterizzava le scene musicali non più di qualche anno fa.
Declinato in varie accezioni, tale approccio, che trovava le sue radici nell'Inghilterra e nella New York di fine anni '70, prendeva, talvolta, deviazioni rumoristiche ed improvvisative che univano alla ruvidezza sonora tipica, soprattutto, delle band d'oltremanica, un estro improvvisativo e una perizia tecnica piuttosto fuori dal comune. Qui siamo più vicini, invece, alla scena no wave newyorchese del periodo e la scelta della line up strumentale, con il sax in prima linea e una massiccia sezione ritmica a far quadrato dietro, ne è la conferma, non potendo l'ascoltatore rimanere immune dalle reminiscenze dei Contortions di James Chance, che di quell'approccio che abbiamo citato poco sopra furono insuperati portatori.
Nei quattro brani, registrati dal vivo, di cui siamo in possesso, il gruppo fiorentino smussa un po' gli angoli e la furia sonora tipica dei propri punti di riferimento e si produce in brani dalla struttura comunque ben definita, in cui gli strumenti vanno più a braccetto a due, piuttosto che lasciare spazio a soli vertiginosi, cercando un'intelligibilità e forse anche una fruibilità maggiore che rischiano, però, di essere quasi un limite al divertimento dell'ascolto. La prassi esecutiva e il conseguente sfoggio di bravura non sono in discussione, ma il tutto risulta un po' freddo. Un pizzico di sregolatezza formale e di follia esecutiva, forse, avrebbero giovato, ma si tratta comunque di un gruppo che ha stile, compattezza e una propria musicalità.
Double Fint e Cashncarry fra gli episodi più riusciti.
Recensione a cura di:
Francesco D'Elia
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