Mangiacassette: Pianse per il Cane Muscat Blanc [2007]

Lorenzo Maffucci aka Mangiacassette è un genio. Non solo perché il suo nome d'arte dice già tutto sulla sterminata e insaziabile "musicofagia", che ti sconvolge ogni volta che ti trovi a dissertare della materia. Non solo perché da qualche tempo sfoggia quella meravigliosa cresta, con la quale convolerà fra breve a giuste nozze (la potete notare ai concerti dei Baby Blue, guardando chi suona il basso). Ma soprattutto perché questo disco è bellissimo. Si presenta con 29 (ventinove) canzoni che, liberamente scaricabili dal link che potete trovare qui sotto, non riuscirete a masterizzare su un CD audio se non togliendo le pause fra i brani: impossibile che non l'abbia fatto apposta.
Tralasciando questa burla “preliminare”, l'album, che convoglia tutto il materiale che il nostro ha registrato dal 2007 in avanti, presumibilmente sul suo quattro piste, frulla in modo stupefacente buona parte del folk americano anni '60 e di quello anni '90, ma stupisce soprattutto per la precisione quasi filologica degli arrangiamenti, affrontando il confronto con il Bob Dylan di Highway 61 Revisited, il Lou Reed del terzo Velvet Underground e il Beck di Mellow Gold (i riferimenti più vicini, ma ce ne sarebbero da citare decine, come De André, blasfemamente messo quasi in burletta) come se affrontasse una partitura di Beethoven, trascrivendola e reinventandola oggi. Lo si vada poi a vedere dal vivo, ché è un'esperienza unica: canzoni interrotte a metà per spiegarne il significato, assoli elettrici di feedback senza nulla sotto, gente chiamata dal pubblico a suonare la batteria, monologhi squinternati e un carisma e una fulminante ironia irresistibilmente contagiosi. Fortunatamente, però, la sua non è né un'operazione nostalgica né puro sfoggio di conoscenza musicale, giacché tanta cura nella scelta sonora è impreziosita da testi che si sposano alla perfezione con tanta schizofrenia compositiva, narrando dalla critica ai presunti artisti (Arte contemporanea) alle squinzie di provincia (Frangia rossa), dalle istantanee di famiglia ai cinesi che ormai dominano la striscia fra Prato e Pistoia, con uno sguardo che sembra ormai pacificato di fronte all'assurdo e con un'ironia surreale che fa di tutto per apparire infantile ma che raggiunge vette di immaginazione sublimi. Per poi diventare struggente narrando di un perito tecnico particolarmente indisponente e della gioia di sfasciare un boiler. Inutile dire che altrove sarebbe già oggetto di culto quest'oggetto che si fa beffe di tutto e tutti con una leggerezza disarmante e che, nel mezzo, si concede imprevedibili e folli deviazioni elettroniche che vanno dalla dubstep (!!!) al trip hop più frammentato, ché gli anni '90 (quando eravamo giovini???) erano anche questo.
Oggi ci si sposa. Figli maschi. Tanti.

Recensione a cura di:
Francesco D'Elia

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