Era qualche anno che i Walking The Cow (Simone Bardazzi, chitarre e altre corde, samples; Paolo Moretti: chitarra, basso, samples; Nico Colacillo: tastiere varie; Martino Lega: batteria) non fornivano notizie di sé, dopo essersi messi in bella mostra alla finale del RockContest di Controradio nell'ormai lontano 2006 e la realizzazione della colonna sonora del documentario Lost in Election, risalente ad un paio d'anni fa. Tornano a calcare le scene, dunque, con un significativo cambio di line up, lanciando al microfono l'italocaliforniana Michelle Davis, anche autrice dei testi. Inevitabilmente, la diversa vocalità ed inclinazione melodica condizionano in maniera significativa la nuova produzione della band, smussando parecchi angoli che segnavano l'attitudine weird folk del passato; giusto per inciso, la band prende il nome da un pezzo del primo Daniel Johnston, che delle prime Mucche era punto di riferimento imprescindibile. Ora, invece, i pezzi risultano decisamente più “morbidi” e meno nevrotici, gli arrangiamenti rivelano un gran lavoro di cesello, con un uso decisamente più marcato dell'elettronica, e comunque ottima capacità nel sintetizzare in meno di tre minuti di canzone una gran quantità di idee. Il risultato sembra riassumibile in una sorta di folktronica a metà strada fra le prime CocoRosie e un Badly Drawn Boy più elaborato, vuoi anche per la scelta, quantomeno insolita, di scrivere in tempi ternari in tutti i brani dell'EP. L'apertura di Summer Dress è una tenera ballata infantile, scintillante nei suoi contrappunti chitarristici e nella melodia doppiata dal synth, che sembra venire dritta dalla colonna sonora di Juno (non ce ne voglia nessuno, è un piccolo capolavoro) o giù di lì, in cui una bimba è ansiosa di uscire per strada con il suo vestitino estivo anche se fuori si gela. Le tastiere, poi, la fanno da padrone nell'episodio successivo, in cui si riscontra l'approccio quasi “carillonesco”, tipico del primo periodo del gruppo. Più evidente è, invece, l'aspetto destrutturante nell'irriverente Jesus (Buy Some Porn), in cui una sconnessa base elettronica spezza gli arpeggi à la Simon & Garfunkel, e nella vagamente dissonante chiusa finale, impreziosita da interessanti agganci armonici. Gradevolissimo e decisamente anticonvenzionale nel panorama indipendente, il nuovo progetto Walking The Cow brilla per essere personale in un genere che, comunque, nella scena newyorchese dei primi anni Duemila conta centinaia di adepti e che, però, in Italia non sembra avere attecchito del tutto. La band rappresenta invece una felice eccezione; sta al pubblico ora saperne apprezzare l'indubbia qualità.
Recensione di:
Francesco D'Elia
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